IPERTROFIA PROSTATICA BENIGNA (I.P.B)
LA DIAGNOSI DEL CANCRO ALLA PROSTATA
Elenchiamo in questo primo capitolo le risposte ad alcuni quesiti basilari che interessano, direttamente, metà del genere umano e, indirettamente, l'altra metà.
La prostata è una ghiandola sessuale delle dimensioni di una castagna. Si trova sotto la vescica e circonda l'uretra. Il ruolo primario della prostata è di produrre una parte del liquido che viene espulso con l'eiaculazione.
La prostata è sede di malattie infiammatorie (prostatiti); ingrossamento benigno (ipertrofia prostatica benigna, I.P.B. o adenomatosi prostatica); tumori maligni (adenocarcinoma prostatico).
Per la sua sede sotto alla vescica e intorno all'uretra, la prostata influisce sul modo di urinare. Pertanto ogni volta che insorgono disturbi o alterazioni nella minzione la prostata può essere chiamata in causa.
È importante occuparsi della propria prostata prima che essa inizi a causare disturbi, in tal modo si scopriranno eventuali tumori maligni in fase guaribile, (vedi le domande sui tumori). Il cancro della prostata colpisce circa il 10% degli uomini. Dopo i 50 anni è opportuna una visita urologica a scopo preventivo ogni 12 mesi.
L'urologo é il medico specialista che si occupa della prostata.
Lo staff di una unità di diagnosi e cura per le malattie della prostata é costituito dall'urologo insieme ad altri medici specialisti (quali radiologi e anatomopatologi) dai biologi dei laboratori di analisi, dagli infermieri specializzati, dai tecnici di ecografia ed infine dal personale organizzativo.
Il paziente deve sapere che quando si rivolge ad una unità specializzata nella diagnostica e nella terapia delle patologie prostatiche si rivolge non solo all'urologo, ma, indirettamente, a tutti i suoi collaboratori; infatti lo specialista é abituato a lavorare e a studiare con loro ogni singolo caso. Il paziente stesso deve sentirsi coinvolto in questo gruppo che si prende cura del suo problema, non come oggetto passivo che "ingoia" pillole o a cui viene "asportato" qualche "pezzo", ma come un soggetto attivo con il suo pieno e particolare ruolo nei ragionamenti e nelle decisioni diagnostiche e terapeutiche che lo riguardano.
Entriamo ora nel vivo dell'argomento "prostata", parlando della sua infiammazione, che colpisce la popolazione maschile anche in età giovanile.
La prostatite é una infiammazione della prostata, può essere di diverso tipo e origine.
La prostatite può essere:
Esistono anche situazioni intermedie tra quelle acute e quelle croniche.
Le cause di prostatite sono molteplici e non sempre agevoli da identificare.
Molto spesso dei germi risaliti lungo il canale urinario, o discesi dalla vescica possono raggiungere la prostata causando una infiammazione. Poichè i tubicini della ghiandola prostatica assomigliano a grappoli d'uva che sboccano nell'uretra, é facile intuire che questi sbocchi delle secrezioni prostatiche possono diventare la porta d'ingresso dei germi nella prostata. Inoltre, poiché questi gruppi di ghiandole sono inglobati in un tessuto muscolare e fibroso duro, in caso di infiammazione, essi tendono a strozzarsi e alterarsi a causa del "gonfiore" associato alle infiammazioni. Così avviene che le secrezioni e i batteri ristagnino non trovando modo per uscire, in tal modo la prostatite da acuta tende a durare nel tempo diventando cronica.
L'urologo scopre una prostatite dalla storia del paziente, dagli accertamenti di laboratorio, dalle immagini dell'ecografia, dagli esiti di una biopsia, dalla visita rettale. Si tratta di una diagnosi che talvolta è difficile; può trattarsi addirittura, in alcuni casi, di una sorpresa positiva in quanto certi quadri di prostatite simulano il cancro della prostata.
Le prostatiti si curano con farmaci antibiotici, antinfiammatori, norme di vita e norme dietetiche.
È importante rivolgersi all'urologo non appena si manifestano i primi disturbi, specie il bruciore urinario, o l'aumentata frequenza delle minzioni. Curare la prostatite nelle sue prime fasi è più semplice rispetto a quando sia già cronicizzata .
Può essere pertanto molto importante rivolgersi precocemente al medico al fine di mettere in atto rapidamente la procedure diagnostiche opportune.
È difficile rispondere a tale domanda. L'esperienza insegna che spesso si possono ottenere dei risultati soddisfacenti anche dopo anni di trascuratezza. Capita però, altre volte, che già dopo poche settimane di disturbo non si riesca più ad ottenere una guarigione completa.
Nella fase acuta, ovviamente, sarà difficile avere questo problema, ma nelle fasi croniche nulla vieta una attività sessuale regolare. Nei rapporti bisogna tenere conto che spesso possono essere presenti disturbi della eiaculazione che spesso é precoce rispetto alla norma del paziente. Talvolta l'eiaculazione può essere dolorosa o fastidiosa.
Questi fatti non devono necessariamente impedire i rapporti. Sono addirittura da sconsigliare l'astinenza prolungata o la "genitalizzazione" dell'attenzione. (Pensare sempre al fastidio dei testicoli, toccarsi il perineo, angosciarsi per ogni bruciorino minuscolo, disperarsi per un rapporto sessuale non "tecnicamente perfetto").
Certamente é possibile: la forma "acinosa" della ghiandola prostatica favorisce sia la cronicizzazione che il riaccendersi dell`infiammazione.
E' nota anche con il nome di adenomatosi prostatica: a questa ci si riferisce quando si dice di essere ammalati di "prostata".
Quando si parla di "Ingrossamento della prostata dei vecchi", si usa quasi sempre una terminologia sbagliata perché:
La I.P.B. inizia a svilupparsi molto presto, già dopo i 30 anni, ma non in tutti i soggetti cresce con la medesima velocità.
Non si conosce con esattezza la causa della I.P.B. Alcuni ricercatori ritengono che sotto lo stimolo delle urinazioni continue, delle eiaculazioni e delle infiammazioni si verifichino dei microtraumi che liberano dai tessuti prostatici vicino all'uretra una sostanza capace di causare l'accrescimento delle ghiandole vicine. Anche le alterazioni degli equilibri ormonali nei tessuti sono probabili cause.
Non è la dimensione maggiore o minore a rendere necessaria una cura della I.P.B. Bisogna sapere che prostate con piccoli adenomi possono dare molti disturbi e prostate grandi possono anche essere silenti. In molti centri si usa un particolare questionario per capire l'entità dei disturbi di un paziente. Si assegna un punteggio alle risposte dei pazienti, e quanto più elevata è la somma finale, tanto maggiore è la necessità di una terapia.
L'urologo é lo specialista che si occupa di curare la I.P.B insieme, e di concerto col medico curante del paziente.
Solo venti cancri prostatici su cento si originano dalla zona di I.P.B. Non è stato dimostrato che I.P.B. grandi degenerino in cancro più facilmente di quelle piccole. Pertanto non si deve decidere di operare la I.P.B. al fine di prevenire il cancro. Come abbiamo detto, anche dopo aver tolto l'adenoma, la prostata "vera" resta in sede! Infatti chi è stato sottoposto ad intervento di "prostata" deve seguire i programmi di prevenzione dal cancro prostatico come chi non è stato operato. Anzi, una ghiandola "tagliata" per togliere l'adenoma potrebbe anche rendere più agevole, quindi pericolosa, la diffusione di un tumore insorto successivamente nella prostata.
Ci sono tre grandi gruppi di medicine per la cura non chirurgica della I.P.B.
Soltanto l'urologo può suggerire al paziente la cura più idonea per il suo caso. La scelta non è sempre agevole e talvolta può essere utile o addirittura indispensabile associare più medicine. Inoltre non tutti i pazienti tollerano questi farmaci altrettanto bene, e non sempre i buoni risultati ottenuti in un primo tempo sono poi mantenuti. Si capisce quindi perché la chirurgia mantenga un ruolo importante.
I cibi piccanti e gli alcolici sono da evitare. Bisogna stare attenti agli eccessi sessuali, ed anche ai lunghi viaggi, durante i quali dieta e apporti idrici possono essere irregolari e dove la posizione stessa può favorire congestioni pelviche.
Per laser terapia interstiziale si intende una tecnica per distruggere i tessuti prostatici in modo controllato e minimamente invasivo mediante il calore, provocato da una fibra laser introdotta nella prostata.
Tecnicamente si procede in questo modo: il paziente viene anestetizzato con metodo super selettivo regionale; si introduce attraverso il canale urinario uno strumento chiamato uretroscopio e successivamente attraverso questo, sotto il controllo visivo, la fibra laser viene fatta penetrare nella prostata in diversi punti. La sonda è collegata al generatore laser che viene quindi attivato. I raggi liberati dalla fibra generano energia e calore che distruggono i tessuti.
Al termine della procedura si lascia un catetere in vescica per alcuni giorni. Il paziente può andare a casa il giorno stesso.
Vantaggi:
Svantaggi:
Il sistema T.U.N.A. serve per distruggere l'adenoma prostatico (I.P.B.) con una tecnica minimamente invasiva, a basso rischio, senza ricovero ospedaliero, senza dover ricorrere ad anestesia generale. Si utilizza uno strumento speciale che viene portato a contatto della prostata attraverso il canale urinario. Dalla punta dello strumento vengono fatti uscire due aghi che penetrano nella ghiandola. Un generatore di basse frequenze radio è connesso ai due aghi che fungono così da antenna. Le onde elettromagnetiche causano un riscaldamento controllato della prostata fino a 90°. Il calore generato distrugge l'adenoma, in un secondo tempo i tessuti si retraggono e il canale urinario si allarga in modo da migliorare il deflusso urinario.
Il T.U.N.A. è in uso presso numerosi centri in diversi paesi europei ed extraeuropei. Sono possibili candidati a questo tipo di terapia della I.P.B. i soggetti con più di 45 anni con un punteggio di sintomi medio-grave che dura da oltre 3 mesi. Sono esclusi pazienti con adenomatosi a tre lobi, sospetto adenocarcinoma, prostatite in atto, insufficienza renale, restringimenti del canale urinario, contratture del collo vescicale. Fino ad ora sono stati trattati con questo sistema circa mille pazienti con un miglioramento medio di circa il 66% nella valutazione con punteggio sintomi.
Vantaggi:
i vantaggi della tecnica sono: la sua scarsa invasività, la possibilità di operare pazienti in cattive condizioni, ad alto rischio operatorio, senza ricovero, la convalescenza breve, la rapida ripresa di una minzione normale, l'evitare i rischi connessi alle altre tecniche chirurgiche tradizionali.
Svantaggi:
lo svantaggio essenziale è che non si conosce ancora il follow-up prolungato della tecnica. E' probabile che alcuni pazienti necessitino con il passare degli anni di una seconda procedura disostruttiva. Ad ogni modo questo evento si verifica anche con le tecniche tradizionali e pertanto non rappresenta un punto a sfavore esclusivo di questa metodica, ma di tutte le pratiche chirurgiche.
In pratica:
bisogna sottolineare che soltanto un accurato esame del singolo caso permette di stabilire se il paziente è eligibile a questo tipo di terapia che, come ogni altra cura, non va considerata la soluzione miracolistica di ogni problema, ma soltanto una nuova arma sofisticata da usare insieme alle tecniche tradizionali.
Il controllo periodico aiuta il medico a diagnosticare il cancro prostatico in una fase precoce, quando cioè non è solo curabile, ma anche guaribile. I sintomi del cancro della prostata sono assenti o scarsi nelle prime fasi e spesso associati a quelli di una iperplasia prostatica benigna (I.P.B.) coesistente. Entrambe le malattie sono comuni nell'uomo e causano spesso difficoltà minzionali con getto debole e frequente. La I.P.B. è l'ingrossamento di quella parte interna della prostata vicino l'uretra. Come abbiamo detto nei capitoli precedenti essa non è un cancro. Il solo modo accurato per distinguere tra I.P.B. e cancro è l'ecografia prostatica transrettale associata al dosaggio del P.S.A., alla biopsia e alla visita del medico specialista. E' ragionevole sottoporsi a visite dopo i 50 anni o dopo i 40 se vi sono parenti con cancro della prostata.
37 Che cosa provoca il cancro della prostata ?
La causa esatta del cancro della prostata é sconosciuta. Non si sa ancora perché, in alcuni casi, le poche cellule cancerose presenti nella maggioranza dei soggetti anziani inizino a proliferare dando origine al tumore.
Nelle sue fasi iniziali il tumore può non dare disturbi, poi, con il passare del tempo, man mano che si accresce, il tumore inizia a premere sulle parti vicine, ad esempio l'uretra. Questo fenomeno ostruisce il regolare deflusso dell'urina dalla vescica. In questa fase della malattia gli uomini urinano più frequentemente del normale (questo é spesso il primo sintomo della malattia); tavolta la minzione é molto difficile, addirittura dolorosa.
38 Ci sono altri sintomi ?
Altri sintomi sono la presenza di globuli rossi o bianchi nell'urina o nello sperma. E' importante ricordare che il cancro della prostata, specialmente negli stadi iniziali, può non dare sintomi di sorta. Per questo dopo i 40/50 anni si raccomandano controlli specialistici regolari. Quando il cancro della prostata si diffonde ai linfonodi vicini, alle ossa o ad altri organi, molti uomini sentono dolori ossei o articolari.
Solo se il medico riesce a determinare lo stadio della malattia potrà instaurare la cura migliore per i singoli casi. Le cure possono variare a seconda delle condizioni generali del paziente, dell'età e dello stadio della malattia. E' importante che il paziente discuta con il medico le diverse opzioni possibili, i loro vantaggi e gli svantaggi. Gli stadi della malattia vanno da T1 a T4, a seconda dell'estensione della stessa. Inoltre sono catalogati in N+ se interessano anche i linfonodi ed M+ se altri organi sono sede di metastasi.
La prostatectomia radicale è un intervento nel quale vengono asportate chirurgicamente (con taglio) la ghiandola prostatica, le vescicole seminali e le ghiandole linfatiche vicine. La crioablazione prostatica è un intervento minimamente invasivo (senza taglio) che permette di distruggere i tessuti prostatici e periprostatici "bruciandoli" con sonde a temperature molto basse. La terapia ormonale toglie la capacità di crescita delle cellule prostatiche e tumorali attraverso l'assunzione di medicine. La radioterapia brucia i tessuti con diversi tipi di radiazioni.
Da diversi anni anche in Italia questa tecnica rielaborata nel corso degli ultimi dieci anni negli Stati Uniti permette la distruzione delle cellule cancerose attraverso il loro congelamento. Vediamo nel dettaglio il suo funzionamento.
Introduzione:
Il cancro della prostata è, per tipologia di tumore, la seconda causa di morte nella popolazione maschile. I metodi tradizionali di trattamento per i casi di cancro che siano ristratti alla sola ghiandola prostatica e che non siano fuoriusciti da questa sede sono la prostatectomia radicale (rimozione chirurgica) e la radioterapia. Sfortunatamente a questi trattamenti possono seguire notevoli complicazioni. Alcuni campioni esaminati dopo un trattamento di prostatectomia radicale hanno indicato spesso che il tumore era già diffuso al di fuori della ghiandola prostatica: questo fatto è noto come margine chirurgico positivo, quando cioè il chirurgo non riesce a rimuovere completamente il cancro, e ciò avviene secondo alcuni studi nel 50-60% dei casi, ed è normalmente il risultato di una estensione sottostimata del cancro prima dell'intervento. La radioterapia invece è associata ad un tasso di fallimento che va dal 50 all'80% dei casi. Queste percentuali si basano sulle biopsie effettuate successivamento al trattamento.
In seguito ai limitati effetti di queste due terapie, si stanno studiando nuove e più efficaci metodologie per combattere il cancro della prostata: la crioterapia è la nuova alternativa emergente che racciude in sé grandi promesse.
La storia
La crioablazione della prostata implica il raffreddamento controllato della ghiandola atto a distruggere le cellule prostatiche cancerogene e non. Nel 1968 Gonder e Soans introdussero la crioablazione della ghiandola prostatica con conseguente distruzione del tessuto necrotico. Nel 1970 Bonny riferì la sua esperienza su 229 pazienti trattati in ambito criochirurgico. La sua relazione rese noto che i pazienti trattati con questo metodo in ogni stadio della malattia avevano le stesse probabilità di sopravvivenza nel lungo termine di quelli trattati con la prostatectomia radicale.
Purtroppo, l'alta percentuale di complicazioni dovuta alla mancanza di un preciso monitoraggio delle zone congelate durante l'operazione, causarono l'abbandono di questa tecnica. Nel 1988 Onik relazionò sulla possibilità di monitorare in tempo reale la parte trattata usando nuovi apparecchi ecografici. Nel 1994 Bahn e Lee apportarono ulteriori miglioramenti alla tecnica, favoriti anche dai continui progressi fatti in campo radiologico e dalla tecnologia usata per questo tipo di terapia.
Crioablazione della prostata: la fase preoperatoria
I candidati alla terapia devono essere sottoposti ad ecografia transrettale e ad una biopsia per stabilire il grado di malattia della prostata. La conoscenza dell'esatta locazione e della grandezza del tumore e lo stato degli organi confinanti quali le vescicole seminali, sono di fondamentale importanza per la buona riuscita del trattamento. Per sapere in maniera accurata il grado della malattia bisogna adoperare un ecografo con color doppler; i pazienti dovranno poi sottoporsi ad una radiografia ossea e ad una tomografia computerizzata del bacino per escludere la possibilità di infiltrazioni del tumore. In alcuni casi si raccomanda anche l'analisi di un campione prelevato dai linfonodi. Se queste analisi risultassero positive il paziente non potrà essere sottoposto a criochirurgia.
Trattamento preoperatorio
Dal momento che la quantità di tessuto che può essere effettivamente congelata è limitata per motivi di sicurezza, in molti casi il paziente necessita di una terapia, che dura dai 3 ai 6 mesi atta a bloccare la produzione di ormoni; ciò fa sì che le cellule prostatiche e quelle cancerogene si riducano nel periodo antecedente alla crioablazione, diminuendo il tessuto che si deve distruggere.
L'intervento
Il giorno antecedente all'operazione sono richiesti i soliti prelievi di routine. I pazienti vengono sottoposti, a seconda del caso, ad anestesia generale oppure a quella spinale.
L'operazione in sé inizia inserendo dai 5 ai 8 aghi nella zona del perineo (superficie tra il retto e lo scoto) che guidati ecograficamente raggiungono la zona da trattare; gli aghi fanno poi posto a dei dilatatori che permetteranno l'ingresso delle sonde per il raffreddamento. La temperatura delle zone trattate è monitorata attraverso l'uso di termometri che sono situati nei punti strategici della ghiandola. Viene inoltre messo in funzione un apparecchio atto a riscaldare l'uretra e a far sì che questo organo non venga danneggiato durante il congelamento. A questo punto siamo pronti per partire. La procedura implica due cicli di congelamento (alternati a due di riscaldamento) per essere certi della distruzione del tessuto malato; la prostata intera, incluso naturalmente il tumore, verrà congelata. Il paziente viene dimesso il giorno seguente e gli verrà applicato un catetere Foley necessario al drenaggio delle urine.
Follow-up
Dopo tre mesi dall'intervento il paziente ritorna in ospedale per una visita ecografica e per l'esame del PSA, e dopo 6 mesi 1 e 2 anni rispettivamente andranno eseguite le biopsie di controllo.
Risultati del "Crittenton Hospital"
Tra il 15 febbraio 1993 e la stessa data del 1996 abbiamo effettuato 505 interventi di crioablazione prostatica su 485 pazienti e abbiamo risultati disponibili su 392 pazienti a 3 anni dall'operazione. Di questi, 57 sono risultati positivi alle biopsie di controllo, indicando un fallimento della terapia pari ad una percentuale del 14,5% dei casi.
Ad ogni modo la percentuale nei casi in cui il cancro era confinato alla sola ghiandola prostatica scende al 10%; al contrario la percentuale sale al 26% se il tumore era già infiltrato nelle zone limitrofe. C'è poi una percentuale del 25% in pazienti sottoposti precedentemente a radioterapia. Le analisi del PSA nel post-operatorio hanno mostrato tassi dell'85% di diminuzione del valore stesso a meno di 0,5 ng/ml.
Sebbene questa terapia sia soggetta ad alcune complicanze simili a quelle della prostatectomia radicale e della radioterapia, le complicazioni effettive che esistono nella criochirurgia sono relativamente basse; quella con maggior frequenza registrata nell'1% dei casi è una fistola (connessione tra il retto e l'uretra prostatica). Dei 5 pazienti con questo problema, 4 avevano fallito in precedenza la radioterapia. Gli studi basati sui nostri rapporti clinici riscontrano una percentuale di incontinenza (definita come uso del pannolone) del 4,3 in pazienti che non hanno avuto altri tipi di terapie in precedenza, a differenza dei pazienti sottoposti precedentemente a radioterapia (11%) e a prostatectomia radicale (31%). La maggior parte dei nostri pazienti usa il pannolone per pochi giorni come misura preventiva. Nel nostro gruppo di malati in cui la radioterapia in precedenza aveva fallito, la percentuale di incontinenza era sensibilmente più alta rispetto al gruppo vergine.
L'impotenza è una conseguenza molto importante di questa procedura. E' dovuta al congelamento del tessuto esterno alla ghiandola prostatica allo scopo di uccidere le cellule cancerogene infiltratesi nelle zone circostanti. I nostri studi dimostrano che solamente il 15% dei pazienti risulta potente (erezione atta alla penetrazione vaginale) ed un ulteriore 23% segnala una parziale guarigione. Sono, in sostanza, le stesse cifre comparate alla radioterapia ed alla prostatectomia radicale. Possono verificarsi inoltre altre complicanze minori quali: ostruzioni del flusso urinario (9% dei casi), dolori pelvici (11%), gonfiori dello scroto (17%) stato di torpore o formicolio del pene (14%). Questi problemi scompaiono normalmente entro tre mesi dall'intervento. Comunque il 96% dei nostri pazienti conferma il fatto che sceglierebbe nuovamente la criochirurgia se si ritenesse necessario un altro trattamento.
La crioablazione del cancro della prostata in Italia e nel mondo
Nell'ottobre del 1996 l'American Urological Association ha cambiato la sua posizione sulla criochirurgia: essa infatti è stata riconosciuta quale opzione nel trattamento del cancro della prostata: i termini "investigazionale" e "sperimentale" sono stati aboliti.
La terapia è stata già adottata da reparti urologici universitari ed ospedalieri con criteri di completamento delle terapie tradizionali, in svariati paesi quali Svezia, Danimarca, Germania, Inghilterra, Francia, Belgio ed Italia. Gli operatori italiani ed europei sono in continuo contatto tra loro nell'ambito di un progetto collaborativo di studio.
Conclusioni
La tecnica chirurgica tradizionale usata in tutto il mondo: recentemente sottoposta a revisione critica da alcuni autori. Vediamo insieme il perché.
Introduzione
La prostatectomia radicale consiste nella rimozione chirurgica della prostata e delle vescicole seminali. Se l'operazione viene svolta per via addominale retropubica, vengono rimossi anche i linfonodi pelvici. Se vi è invece un approccio perineale (attraverso lo spazio tra l'ano e lo scroto) la procedura per la rimozione degli stessi deve essere eseguita mediante un altro intervento.
Molti chirurghi chiedono ai pazienti un prelievo del loro sangue prima dell'operazione per poterlo usare in caso di necessità. La durata dell'intervento di circa 2/3 ore, mentre la degenza post-operatoria del paziente va dai 3 ai 7 giorni; al malato viene applicato un catetere uretrale da mantenere per un periodo che va dai 10 ai 21 giorni. Inoltre per diverse settimane o addirittura mesi, la stragrande maggioranza di coloro i quali si sottopongono all'intervento, soffrirà di incontinenza quando questo catetere verrà tolto.
Perfino con le modifiche nella tecnica chirurgica introdotte da Walsh, le complicanze associate alla prostatectomia radicale ne hanno limitato il gradimento presso i pazienti, visto che l'incontinenza e l'impotenza sono complicanze frequenti ed importanti. Da uno studio eseguito dall'American College of Surgeons risulta che nel 1990, su un campione rappresentativo di 2122 pazienti operati con questa tecnica, l'81% si dimostrava continente, il 4% totalmente incontinente ed il restante 15% con un'incontinenza dovuta a stress. Di questo campione il 28% manteneva la potenza sessuale.
Da quando nel 1905 Hugh Hampton Young scrisse il suo rapporto sulla prostatectomia radicale, questa tecnica è stata definitivamente accettata come il golden standard per la cura dei tumori localizzati nella prostata, ed ogni nuova metodologia di cura deve essere necessariamente comparata con l'efficacia di questo trattamento.
Tradizionalmente la prostatectomia radicale è utilizzata con intenti curativi su pazienti con cancro alla prostata clinicamente localizzato (stadi A-B o T1-T2).
Sfortunatamente a tutt'oggi, all'incirca il 55% degli uomini con cancro alla prostata clinicamente localizzato ha invece alla prova dei fatti, un tumore extraprostatico. Viceversa, il 15% degli uomini trattati con questa tecnica, ha tumori così piccoli da non poter presumibilmente influire sulle loro normali aspettative di vita. Questi tumori di volume molto ridotto sono noti come "tumori clinicamente insignificanti".
Quindi visto che il 55% delle persone operate denota infiltrazioni tumorali ed un altro 15% soffre del problema inverso, se ne deduce che su basi istopatologiche solamente il 30% dei pazienti trae pieni benefici da questa tecnica.
In questo modo la maggioranza dei pazienti è sottoposta ad una procedura chirurgica di diminuzione del volume tumorale totale (debulking) e non ad una effettiva procedura curativa.
In alcuni studi sono stati esaminati alcuni pazienti con valori di PSA ripetuti in serie che non sono stati trattati e si è potuto dimostrare che la moltiplicazione delle cellule tumorali prostatiche avviene in un tempo abbastanza lungo; quindi almeno teoricamente riducendo il volume tumorale principale si potrebbero avere dei benefici terapeutici. Ad esempio se vi
è un volume residuo di tumore dopo intervento di prostatectomia radicale, recenti studi della Mayo Clinic mostrano che persino in casi di una sua crescita relativamente veloce (raddoppio ogni due anni) un tumore di 0,25 cc non dovrebbe avere un impatto sull'aspettativa di vita per un periodo di 12 anni.
Sopravvivenza causale specifica e sopravvivenza totale
I risultati della chirurgia possono essere formulati in termini di sopravvivenza del paziente; i dati relativi alla sopravvivenza totale riportano la sommatoria delle morti dovute a cancro della prostata insieme a tutte le altre non imputabili a questo tumore.
Negli uomini anziani le cause di morte non legate a cancro sono frequenti, pertanto si è introdotto il concetto di "sopravvivenza causale specifica" per ridurre l'impatto dell'età, delle condizioni mediche generali e degli altri fattori di rischio; la sopravvivenza causale specifica considera unicamente i decessi dovuti a cancro della prostata ad esclusione di tutti gli altri.
Se consideriamo l'insieme delle prostatectomie radicali effettuate dal 1950, la "sopravvivenza totale" dei pazienti nei 15 anni dopo l'intervento è a 5, 10 e 15 anni, rispettivamente del 92, 74 e 58%. Questi valori sono approssimativamente gli stessi della popolazione non affetta da questa malattia.
Un rapporto della Mayo Clinic mostra che in seguito all'intervento, su 472 uomini seguiti per 10 anni e su 166 seguiti per 15 anni, la "causa specifica di sopravvivenza" è rispettivamente del 90 e dell'82%.
Sono stati trattati con prostatectomia radicale anche pazienti con infiltrazioni extraprostatiche, somministrando loro una terapia ormonale prima dell'intervento allo scopo di ridurre il volume della prostata e l'incidenza del tumore sconfinato.
Nel 1964 Scott riferì dell'assunzione per via orale di estrogeni; più recentemente Labrie scelse 161 pazienti destinati alla prostatectomia radicale, somministrando a metà di essi una terapia ormonale combinata (flutamide e lupron). Nei pazienti così trattati si riscontrò che i margini chirurgici positivi erano nettamente meno frequenti rispetto a quanto riscontrato nei pazienti sottoposti all'intervento senza tale terapia preparatoria (8% contro il 34%); inoltre l'esame patologico sulle prostate rimosse permise di constatare che i tumori confinati nella stessa erano più numerosi (il 78% contro il 49% rispettivamente).
I risultati alla "Mayo Clinic"
Alla "Mayo Clinic" sono stati sottoposti a prostatectomia radicale 1035 pazienti con uno stadio patologico della malattia di tipo "C" ed alcuni di questi hanno ricevuto inoltre terapie ormonali o radioterapia. La "sopravvivenza totale " a 10 e 15 anni è stata rispettivamente del 68% e del 45%, mentre la "sopravvivenza causale specifica" è stata, sempre a 10 e 15 anni, dell'81% e del 66%. Sempre la Mayo Clinic ha riferito di 370 pazienti operati con cancro alla prostata con linfonodi pelvici positivi (D1), trattati anche con la terapia ormonale. In questo gruppo la percentuale di "sopravvivenza causale specifica" è del 75%. Di questi pazienti, quelli con un tumore le cui cellule avevano un corredo cromosomico diploide, e quindi meno aggressivo ebbero migliori risultati (87% di "sopravvivenza causale specifica") rispetto a quelli con un tumore tetraploide e aneuploide (56%).
La prostatectomia radicale è stata eseguita anche in pazienti trattati precedentemente con radioterapia o crioterapia. In queste circostanze la terapia chirurgica è causa di un tasso elevato di complicanze con una percentuale di cura sostanzialmente ridotta.
In molti Paesi la radioterapia è un metodo che viene usato frequentemente: questo è particolarmente vero per gli Stati Uniti. Scopriamo come e quando viene impiegata.
Introduzione
Il cancro alla prostata è, come abbiamo detto, la seconda causa di morte dovuta a tumore negli Usa. Si pensi che ogni anno vengono diagnosticati in questo paese più di 300mila casi. Nel decennio scorso il miglioramento della tecnica diagnostica e la maggior consapevolezza dei cittadini hanno permesso di scoprire e diagnosticare più precocemente questo tipo di tumore, favorendo così una cura adeguata. Le maggiori istituzioni mediche riferiscono che i pazienti il cui tumore è confinato nella ghiandola prostatica hanno una sopravvivenza del 90% a cinque anni e che negli ultimi trent'anni la sopravvivenza generale, indipendentemente dallo stadio iniziale della malattia, è aumentata dal 50 all'80%. A dispetto però di tutti i miglioramenti diagnostici e terapeutici, il numero delle morti causate da tumore alla prostata si è quasi triplicato passando dai 15.000 casi del 1961 ai 41.000 stimati nel 1996.
Dettagli sulla radioterapia
Il nostro centro offre ai malati di cancro alla prostata un programma specifico di radioterapia. Al "Crittenton Hospital" lavorano a stretto contatto esperti urologi e radioterapisti per offrire al paziente un consulto specifico e ben definito. L'estensione della malattia, il trattamento della stessa riferito al caso specifico, il ruolo e le possibili complicanze nel breve, medio e lungo termine della radioterapia, sono tutte questioni che vengono affrontate direttamente con il malato. Il nostro centro utilizza un sistema di pianificazione tridimensionale del trattamento: se il malato sceglie come cura la radioterapia, siamo in grado di realizzare un piano di trattamento sulle basi di una tomografia computerizzata. Questa tomografia viene eseguita nel nostro dipartimento di radiologia diagnostica e da uno staff altamente specializzato. Le immagini dedotte dalla tomografia vengono poi inserite in un computer in grado di ricostruire un'immagine tridimensionale del tumore. Siamo quindi nelle condizioni ottimali per stabilire la porta d'entrata delle radiazioni e le copertura totale della zona tumorale, risparmiando altresì le zone vicine, quali la vescica ed il retto. Questa tecnica permette una diminuzione delle complicanze rispetto alle metodiche tradizionali, e nel contempo migliora i risultati permettendo percentuali di sopravvivenza eccellenti. Il trattamento dura all'incirca 7 settimane per 5 giorni alla settimana, dal lunedì al venerdì; una seduta dura mediamente solo 10 minuti in tutto. Durante il periodo della cura il paziente dovrà sottoporsi, una volta alla settimana, ad una visita dell'oncologo che monitorerà i progressi ed i possibili effetti collaterali.
I risultati
Da almeno 30 anni la radioterapia è un trattamento standard per la cura del cancro alla prostata; il costo inoltre è a carico del Medicare e delle assicurazioni private. Negli Stati Uniti all'incirca il 40% dei pazienti viene trattato con questo metodo ed i risultati che ne scaturiscono anno dopo anno sono simili se non migliori rispetto alla prostatectomia radicale; l'American Urologic Associate Cancer Guideline Panel, analizzando tutti i dati relativi alla radioterapia ed alla chirurgia classica, ha concluso che nessuno dei due trattamento può ritenersi migliore rispetto all'altro.
Il Gruppo Oncologico di Radioterapia (RTOG) sentenzia che a 10 anni dal trattamento radioterapico (stadi del tumore T1b e T2NoMo) la percentuale di sopravvivenza era maggiore della percentuale relativa alle aspettative generali di vita della popolazione, con l'86% senza tumore recidivo e con l'85% delle morti non causate dal tumore nei 10 anni successivi.
I maggiori centri medici riferiscono che il 40-56% dei pazienti trattati con le radiazioni a qualsiasi stadio della malattia, ha valori stabili di PSA, e che in specialmodo quelli ad uno stadio iniziale hanno dall'80 al 90% di possibilità di ottenere questo risultato, che in definitiva rappresenta una percentuale simile ai migliori rapporti sulla prostatectomia radicale.
Effetti collaterali nel breve e nel lungo periodo
Durante il trattamento il paziente può avvertire difficoltà ad urinare e movimenti intestinali particolarmente accentuati, dovuti all'irritazione di parte della vescica o del retto.
Sono comunque problemi temporanei e possono essere alleviati con specifiche cure mediche. Ad ogni modo la maggior parte dei pazienti sottoposti a terapia conduce una vita normale e non risente di queste reazioni momentanee che generalmente scompaiono entro due settimane dalla fine della cura.
Però nel lungo periodo il 5% dei pazienti trattati può andare incontro a prostatite cronica, cistite, restringimenti del canale uretrale, incontinenza e ulcerazioni del retto; in questi casi si ricorre talvolta ad un trattamento chirurgico per curare tali malattie che hanno un andamento cronico. Come abbiamo detto queste gravi complicanze sono limitate però al 5% dei casi; il risparmio dei tessuti sani, grazie ad un preciso sistema pianificato tridimensionale di trattamento del tumore, può veramente limitare i danni sopra citati.
Nel lungo periodo uno dei maggiori effetti negativi di questa terapia, è l'impotenza, che sopraggiunge in quasi metà dei casi: nei pazienti più anziani tale possibilità è leggermente più elevata.
Bisogna però osservare che il rischio d'impotenza causato dalla radioterapia è comunque più basso di quello che si verifica con la prostatectomia radicale anche quando viene eseguita con tecnica di nerve-sparing.
Questa terapia è un cardine della cura dei tumori prostatici, viene usata anche di concerto con le altre cure per migliorarne l'efficacia.
La terapia di privazione ormonale, anche conosciuta come terapia di ablazione androgena è un metodo radicato del trattamento del tumore della prostata nei suoi svariati stadi. Poiché gli ormoni maschili sono i principali responsabili della crescita del tumore prostatico, per molti anni, l'orchiectomia (rimozione dei testicoli) e l'uso di estrogeni (ormoni femminili), sono stati i principali metodi di cura. Più recentemente è stata introdotta in commercio una terapia ablativa androgena combinata che permette di massimizzare il blocco della produzione degli ormoni maschili.
Bisogna sapere che, nel corpo umano, esistono due organi principali atti alla produzione dell'ormone maschile: i testicoli sono quelli più importanti. La produzione in essi può venir bloccata utilizzando LHRH analogo, Lupron oppure Zoladex: L'altra principale fonte di ormoni maschili sono le ghiandole surrenali, la cui funzione può venir interrotta tramite medicinali quali il Flutamide oppure il Casodex. Questi ultimi vengono assunti per via orale mentre il Lupron e lo Zoladex vengono iniettati a intervalli di molte settimane. Ci sono però delle note complicazioni causate dall'assunzione di questi farmaci: vampate, diarrea, insonnia, disfunzioni epatiche, effetti negativi sul sistema cardiovascolare; risulta essere molto importante quindi la stretta sorveglianza da parte del medico. Questa terapia può essere considerata la principale forma di trattamento nel caso in cui la stadiazione del tumore fosse avanzata (stadio D), infiltrazione ossea, linfonodi ecc.) anche se in molti casi risulta essere soltanto una cura temporanea. Può essere effettivamente valida per 3 o 5 anni, ma poi il tumore ricresce rendendo vano il trattamento. Ultimamente la terapia di blocco ormonale utilizzata in sintonia con altri trattamenti può dare benefici sicuri. Il problema maggiore nel cancro della prostata risulta essere il fatto che la malattia viene sottostimata: approssimativamente il 50% dei tumori che si pensa localizzati nella prostata sono invece fuoriusciti dalla capsula prostatica.
Perciò la buona riuscita delle varie tecniche di trattamento fin qui esaminate può essere compromessa dalla locale estensione della malattia. Da quando si è scoperto che il blocco della produzione ormonale riduce la dimensione del tumore e della prostata stessa, la possibilità di estensione del tessuno neoplastico al di fuori della capsula prostatica è diminuita; ciò favorisce quindi il buon esito della crioterapia o della radioterapia, vista l'importanza di poter effettuare il trattamento su un volume di tessuto prostatico minore.
In conclusione possiamo osservare che la terapia di privazione ormonale può essere utilizzata come tecnica principale in casi bene selezionati: ma, visti i benefici, l'uso viene altresì raccomandato come pretrattamento per altre metodiche curative quali la criochirurgia, la prostatectomia radicale e la radioterapia.
Come le altre tecniche presentate, anche questa è stata inventata agli inizi del secolo. Recentemente affinata grazie ai progressi della tecnologia è stata reintrodotta tra le curo in uso.
Introduzione
La brachiterapia è una forma di trattamento basata sulle radiazioni. Piccolissime palline contenenti materiale radiattivo, come lo Iodio-125 o il Palladio-103, sono impiantate direttamente nell'organo che contiene il tumore. Questo tipo di radioterapia è usata da tempo in altri tipi di tumore maligno (all'endometrio, alla mammella, alla testa e al collo). La brachiterapia offre la possibilità di somministrare un'alta dose di radiazioni nella prostata, limitando i danni causati agli organi adiacenti.
La storia
La brachiterapia nella prostata risale al 1911, quando Pasteau pubblicò il suo primo caso: utilizzando una tecnica piuttosto rudimentale per gli standard odierni; egli usò un catetere per inserire le sostanze radiattive nell'uretra. Benchè la tecnica si sia dimostrata valida, il tasso di complicazioni era troppo elevato per renderla accettabile. Il dottor Flocks, un urologo dello Iowa, sviluppò una tecnica di trattamento mediante l'instillazione di oro colloidale.
Con l'avvento degli acceleratori lineari ad alta energia l'interesse per questa tecnica diminuì. Nel 1972 il dottor Whitmore introdusse un metodo di applicazione brachiterapica per via retropubica-chirurgica, utilizzando lo Iodio-125 oppure l'oro-198 e associandoli alla normale radioterapia. Il metodo non riscosse un largo consenso a causa degli insoddisfacenti risultati clinici ed anche per l'alto tasso di complicazioni. Questi fallimenti erano dovuti principalmente al fatto che la tecnica era eseguita alla cieca, senza cioè la possibilità di vedere esattamente dove venivano applicati i semi; non erano infatti ancora disponibili le apparecchiature per permettere un corretto impianto. Alcuni ricercatori sperimentarono in campo operatorio aperto l'impianto di Iridio-192, ma ugualmente erano impossibilitati a visualizzare la struttura ghiandolare: il preciso piazzamento dei semi radioattivi è infatti il principale fattore di riuscita di questa terapia.
Fu così che nei primi anni '80 il vecchio concetto di brachiterapia fu rivisitato, grazie al miglioramento tecnologico introdotto con l'ecografia transrettale (TRUS) e con tomografia computerizzata (CT). Queste innovazioni permisero la distribuzione uniforme dei semi nella prostata per mezzo di applicatori specifici.
Con i continui miglioramenti del software utilizzato nei computer, l'ecografia transrettale è, attualmente, il metodo più usato: i risultati dipendono comunque, in modo rilevante, oltre che dalle attrezzature tecnologiche utilizzate anche dalla capacità dell'operatore.
I candidati alla brachiterapia presso il "Crittenton Hospital"
Ci sono diversi fattori che vanno considerati nel candidare i pazienti alla brachiterapia: quello determinante per la scelta della terapia da seguire è la condizione generale di salute del paziente stesso. Poiché la procedura è minimamente invasiva, la terapia è sicuramente meglio tollerata di un intervento chirurgico tradizionale. Un altro fattore importante è l'età: anche un paziente anziano che necessiti di un trattamento è un candidato possibile alla brachiterapia.
Come per le altre terapie bisogna studiare bene il caso sin dall'inizio. Pazienti con uno stadio iniziale della malattie con un volume del tumore di piccole dimensioni sono i migliori candidati a questo tipo di trattamento. Per questi casi il solo impianto di semini radioattivi (contenenti Iodio-125 oppure Palladio-103) può essere sufficiente; mentre nei casi in cui il cancro alla prostata raggiunga un volume maggiore, occorrerà affiancare alla brachiterapia la radioterapia classica.
Anche i malati più giovani hanno la possibilità di scegliere la brachiterapia come forma di cura, specialmente valutando l'importanza della potenza sessuale nei pazienti in giovane età; ciononostante tutte le considerazioni riguardanti l'impotenza non devono assolutamente compromettere il trattamento del tumore. Ci sono infatti nuove terapia mediche che permettono agli uomini, pur impotenti, di raggiungere l'erezione. Possiamo concludere dicendo che la scelta della terapia è una decisione fortemente personale che però deve essere presa di concerto con i medici specializzati ed eventualmente anche con i propri familiari, ricordando sempre di non sottovalutare la malattia per non correre il rischio di sottoporsi ad una procedura non appropriata!
Indicazioni sulla brachiterapia
Brachiterapia con l'ausilio della radioterapia:
La procedura nella fase precedente all'impianto
Un monitoraggio preciso, eseguito 2 settimane prima, del volume della prostata per mezzo di un'ecografia transrettale è di fondamentale importanza per seguire la giusta strategia nell'impianto. La decisione sul numero dei semini radioattivi ed il loro posizionamento spetta al radiologo di concerto con il medico e l'oncologo radioterapista.
Verranno eseguiti i soliti test preoperatori (esame del sangue, radiografie ed elettrocardiogramma) un paio di giorni prima dall'inizio del trattamento.
L'impianto
Dopo l'impianto
Il paziente viene trasferito in camera, dove rimarrà all'incirca due ore con una borsa di ghiaccio appoggiata nella zona del perineo per ridurre il gonfiore. Il catetere Foley viene rimosso non appena l'effetto dell'anestesia scompare ed il malato è in grado di urinare in modo controllato. Occasionalmente il catetere potrà essere lasciato in sito durante la prima notte. Il paziente viene dimesso normalmente il giorno stesso, con la raccomandazione di non guidare l'automobile nel ritorno verso casa e di non compiere sforzi inutili per almeno due settimane.
Follow-up e sicurezza
In seguito all'intervento il nostro Istituto richiede al paziente un controllo del PSA ogni 90 giorni per circa 12-18 mesi e poi un esame ogni 6 mesi per cinque anni. Non esistono potenziali pericoli di contaminazione radioattiva nei confronti dei familiari. Lo Iodio-125 emette bassissima energia radioattiva, perloppiù contenuta nella regione prostatica.
Ad ogni modo una minima quantità di radiazioni può venir emessa; in alcuni casi occorre prestare attenzione nel caso in cui venga espulso qualche semino con le urine. Per questa ragione sono da evitare contatti ravvicinati con i bambini e con le donne in gravidanza nelle due settimane successive all'intervento.
Il tumore alla prostata è una malattia ancora oggni enigmatica: non vi è ancora generale consenso su di un unico trattamento ideale. Sono considerati tradizionalmente golden standards la prostatectomia radicale e la radioterapia esterna. Sfortunatamente, entrambe le procedure riportano un alto tasso di insuccessi e di complicazioni: non tutti i pazienti infatti potrebbero aver bisogno di un trattamento così aggressivo. Per alcuni, infatti, queste opzioni potrebbero rappresentare un trattamento eccessivo che li espone inutilmente a complicanze potenziali. Le metodiche meno invasive quali la crioterapia e la brachiterapia risultano essere le più valide per molte situazioni. Pur nel breve periodo indicano un'alta percentuale di successo. Infatti la maggior parte dei pazienti mantiene uno standard di vita paragonabile al passato. Anche il costo dei trattamenti si è abbassato sensibilmente.
Deve essere assolutamente chiaro il fatto che il primo fattore di scelta per il trattamento idoneo deve essere una stadiazione iniziale del tumore precisa. Vogliamo sottolineare che la crioterapia e la brachiterapia sono procedure fortemente dipendenti dalle capacità dell'operatore.
I centri per la terapia del cancro della prostata dovrebbero poter offrire tutti i tipi di trattamento. L'uso di apparecchiature aggiornate è essenziale. E' prudente che ogni paziente investighi approfonditamente le diverse opzioni terapeutiche.
Poiché il tumore prostatico è una malattia a crescita lenta, il paziente ha tutto il tempo per autoeducarsi e per investigare le diverse opzioni terapeutiche.